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Buccia
Regione: Lombardia
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Inserito il - 09/07/2007 : 18:12:06 (6347)
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C’ERA UNA VOLTA – IL POTERE DELLE FAVOLE (V° PUNTATA)
Nuovo appuntamento con il mondo dei racconti tradizionali calabresi……(vedi puntate precedenti archiviate sulle pagine personali di Buccia).
Questa volta vorrei proporre più temi: il DENARO/il SUCCESSO - il MANGIARE - l'ASTUZIA.
Le favole fanno riferimento ad una zona dell’immaginario in cui si riscattano la solitudine, le costrizioni, le frustrazioni, le carenze della vita quotidiana. Dimensione onirica in cui la realtà esce modellata dall’opera di trasformazione dell’uomo, nella favola la vita è rifondata attraverso vicende fantastiche, ma esemplari.
Nella favole tradizionali calabresi Il denaro è vincente, domina la vita degli uomini, rende possibili le cose impossibili, è potere assoluto. Il denaro ci introduce nell’universo delle necessità, di una quotidianità intessuta di lavoro.
I protagonisti di numerose fiabe sono costretti ad andare in cerca di fortuna. E’ vero che queste peregrinazioni appaiono come viaggii iniziatici, e che il tema del viaggio è saldamente presente nella cultura folklorica meridionale: dall’esperienza realistica della partenza quotidiana per la campagna e del distacco dell’emigrazione, a quella realistico-simbolica del pellegrinaggio, della processione, della ripetizione di un viaggio mitico.
E’ anche vero che i personaggi della fiaba non solo non hanno un vero mondo ideale, ma non hanno nemmeno un mondo che li circondi. La fiaba non ci dice nulla della città o del villaggio nel quale l’eroe è cresciuto. Generalmente ce lo mostra proprio nel momento in cui l’abbandona e si avventura per il mondo. La fiaba trova mille ragioni per indurre i protagonisti ad andarsene: l’indigenza dei genitori, la propria povertà, la cattiveria della matrigna, un incarico assegnato dal re, il gusto per l’avventura o il desiderio di misurarsi in qualche gara… L’eroe della fiaba è costituzionalmente un viandante: il cieco, il diseredato, il più giovane, l’orfano, lo sperduto, questi sono i veri eroi della fiaba.
Nello svolgersi dei racconti, l’atto del mangiare e la ricerca del cibo sono momenti fondamentali. Il cibo, la sua ricerca, il suo desiderio, i tentativi di tipo magico per risolvere il problema della fame, il mangiare bene e il mangiare male, nelle favole calabresi sono le azioni e i fatti principali attorno a cui ruotano tutti gli altri avvenimenti.
La presenza nei racconti di soppressate, carne, pasta, di festini fatti a base di ottimi cibi e buon vino costituisce la proiezione dei desideri legittimi di gente che tali cibi ha conosciuto solo per averli prodotti, ma quasi mai per averli mangiati, L’alienazione del proprio prodotto, dei cibi e degli oggetti frutto di un duro lavoro, non comincia con il sorgere della civiltà industriale, ma è già fortemente presente nella società contadina, anche se con tonalità e modalità diverse.
L’invidia, gli sgarbi, gli inganni i raggiri non solo si riveleranno inefficaci, ma saranno severamente puniti. L’astuzia - la tecnica di difesa del povero in una società a lui ostile e incombente - è ammessa, anzi ritenuta arma necessaria, dote da incoraggiare e da premiare. Esempi ne sono la mamma di Juvale (lo “stupido innocente” che prende tutto alla lettera, portatore di una verità che non viene ascoltata, personaggio emblematico e inquietante) e il riccio che vince la volpe (storia che tramanda al linguaggio quotidiano l’espressione “chi si punge esce fuori”, usata anche come sfida. E’ tale l’importanza attribuita a all’astuzia che se un furto viene compiuto astutamente, l’azione è accettata e premiata.
Il protagonista ideale delle favole calabresi lotta con la ragione contro la superstizione, contro il timore riverenziale lotta con la sfacciataggine, contro il potere lotta con l’astuzia. Nato per essere libero e chiamato ad ogni felicità della vita, osa servirsi della sua intelligenza e guarda al corso delle cose come benevoli. Queste sono le massime autentiche contenute nelle fiabe tradizionali.
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"Ho messo la testa a posto. Ma non ricordo dove." |
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Buccia
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Inserito il - 19/07/2007 : 11:43:59 (6337)
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Marzo e il pastore
Compare Marzo, con tutto che facesse il pazzo ora con pioggia, ora con sole cocente che ti stordiva, ora con tempeste che ti trascinavano di peso e qualche giorno con nevicate che rovinavano la campagna, non riusciva a sorprendere il pastore .
Quando il pastore la sera riportava le sue pecore allo stazzo, compare Marzo gli domandava: “Ohé, compare pastore, dove te ne andrai domani?” “Alla marina” gli rispondeva il pastore e fra sé pensava "Eh, caro mio, tu non me la farai!".
La mattina, prima dell'alba, si alzava e portava le sue pecore alla montagna. Marzo, verso mezzogiorno, cominciava a scaricare acqua e grandine sulla pianura. La sera incontra il pastore che tornava contento al suo stazzo e gli domanda: “Ohé, compare pastore, com'è andata la giornata?" “Una meraviglia, compare mio! Oggi sono andato alla montaga. Era un incanto col sole che sfavillava. Domani voglio ritornarci. C'è tanta erba che è una delizia per le pecore.”
Compare Marzo si mordette le labbra e abbozzando un sorriso fece: Bene, compare, va pure alla montagna, ché è meglio!”
E il pastore, la mattina appresso, se ne andò alla pianura. E compare Marzo a fare il finimondo sulla montagna: acqua, vento, grandine che era uno spavento. Sul calare della sera Marzo si mise sulla strada ad aspettare il pastore. II pastore tornava tutto contento e asciutto come l'esca e fischiando come se niente fosse. “Eh, compare pastore, com'è andata la giornata?” “Bene. Sono stato in pianura e le pecore, grazie a Dio, hanno trovato tant'erba per la pioggia di ieri.”
Marzo si mangiava le carni perché non poteva cogliere una sola volta quel furbo del pastore. Per tutto il mese fu sempre la stessa storia.
L'ultimo giorno del mese, il pastore, al calare del sole, s'imbatté in compare Marzo e, guardando il cielo che era senza neanche una nuvola, gli disse: “Ormai a Marzo l'ho fatta. Mi porto tutte le pecore allo stazzo.”
Compare Marzo si morse le labbra per la rabbia, pensò un poco e si disse: . "Ora ti devo dare un liscio e busso". Prende e va da Aprile. “Ohé, compare Aprile. Mi vuoi fare un piacere?” gli disse. “Ma certo” gli rispose Aprile. “Tu mi devi prestare per poco tre giorni.” “Prenditeli” gli disse Aprile.
Quando fu la sera dell'ultimo giorno del mese, compare Marzo domandò al pastore dove andava la mattina appresso. II pastore gli rispose che andava in pianura, perché non aveva più paura del tempo pazzo. Si alzò una giornata che era una bellezza. Nel cielo neanche una nuvola, il mare pareva uno specchio tutto sfavillante che non potevi manco guardare tant'era forte la luce. Ti veniva un piacere di guardare i mandorli tutti carichi di fiori bianchi come se fosse nevicato; gli uccelli facevano il nido e cantavano in mezzo ai rami degli alberi; e il pastore sotto una quercia s'era messo a suonare il fischietto con allegria.
Quando fu una certa ora, il cielo si abbuiò. Ohi, figlio della Madonna, dove il Padreterno prese tant'acqua?! Tuoni e lampi che non cessavano un istante ... II povero pastore si vide perduto e si raccomandava alle anime del Purgatorio. Quando schiarì, se ne tornò allo stazzo, come a Dio piacque. Le pecore erano tutte scomparse nella tempesta.
II giorno appresso fu peggio, e l’altro ancora peggio che mai. Il terzo giorno il poveretto se ne tornò a casa senza una sola pecora.
A questo modo quell'infame di Marzo fece la sua vendetta.
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