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Santagataviva2004
Città : Milano-Sant'Agata-Roma-Perugia-EEAA
176 Messaggi |
Inserito il - 15/03/2007 : 14:46:33 (6464)
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La recente pubblicazione del libro "Il piombo e l'Argento - La vera storia del partigiano Facio" di Carlo Spartaco Capogreco per i tipi della Donzelli Editore ha riportato in primo piano, sulla scena nazionale, la tragica vicenda a lungo sottaciuta e persino rimossa del nostro concittadino Dante Castellucci, eroe partigiano caduto per mano dei suoi stessi compagni il 22 luglio 1944.*(1)
A più di sessant'anni dai quei fatti, restano ancora irrisolti i molti misteri che hanno originato quell'inspiegabile sentenza di morte, come pure quel muro di gomma che le è stato costruito attorno e che ne ha impedito l'accertamento delle vere motivazioni e la condanna seppure postuma dei responsabili.
In pochi si sono cimentati nell'impresa di scavare in questo nebuloso passato e tra questi va annoverato proprio il "nostro" Cesare Cattani, già funzionario dell'ARCI e organizzatore-manager degli AREA (con Demetrio Stratos), dei Giancattivi e di Otello Sarzi, di cui, peraltro, ha promosso la costituzione di una fondazione a suo nome.
E' proprio tramite Otello Sarzi, uno dei cinque confinati politici mandati a Sant'Agata *(2), che Dante Castellucci entra a contatto con i primi movimenti armati antifascisti e segnatamente con Gino (Aldo) Cervi.
Così l'epopea tragica dei sette fratelli Cervi, con la loro cattura e successiva fucilazione, sembra segnare anche il destino di Facio, a cui non si perdona quell'appartenenza ideale così refrattaria all'ortodossia ed alle prescrizioni del PCI reggiano.
Di quei contrasti si discute animatamente ancora oggi e proprio Cesare Cattani ha pubblicato un anno fa (9 e 14 gennaio 2006 disponibile sul nostro sito) un proprio corposo contributo sul quotidiano "L'informazione" di Reggio Emilia *(3) dal titolo "Perché il PCI condannò Facio", in cui si analizzavano i molti vuoti nella ricostruzione dei difficili rapporti tra i Cervi ed il partito reggiano.
Non bisogna affatto dimenticare che gli esponenti di quel partito, giusto sei mesi prima della sua ingiusta fucilazione, avevano dato ordine allo stesso Otello Sarzi di uccidere Dante Castellucci, ritenendolo responsabile della cattura dei Cervi.
In esclusiva per le monografie di Santagataviva, Cesare Cattani propone un nuovo tassello delle proprie ricerche, concentrandosi sulla figura di Otello Sarzi ed in particolare sui suoi diciotto mesi di confino a Sant'Agata.
Nel ringraziarlo di tanta considerazione, che riteniamo sia rivolta all'insieme della nostra comunità santagatese, ci sentiamo onorati di dedicare interamente al suo lavoro questo numero speciale, facendo nostri gli auspici ed i sentimenti di amicizia e stima che gli esprime, ben più autorevolmente di noi, il Dott. Pierino Cozzitorto, a cui siamo riconoscenti per la bella testimonianza che ci ha inviato per l'occasione.
Il Comitato di Redazione
Link alla mediateca/libreria sezione Monografie. http://www.santagataviva.it/mediateca/monografie.asp
*Vedi articolo del Corriere della Sera, in Mediateca http://www.santagataviva.it/mediateca/libri/giornali/facio.jpg
**Sull' argomento vedi “Italo Arcuri, Al confino per ordine del Duce”, in Mediateca http://www.santagataviva.it/mediateca/libri/italo/
***Vedi allegati alla Monografia N°4, in Mediateca
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Modificato da - Santagataviva2004 in Data 15/03/2007 16:09:40
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215 Messaggi |
Inserito il - 29/03/2007 : 16:28:50 (6450)
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www.dilloadalice.it è un settimanale on - line Sul n. 144 del 21/03/2007 ho trovato questo articolo a firma di Pierluigi Ghiggini, che mi sembra giusto riproporre per intero.
Buona lettura
Una tragedia comunista, dai fratelli Cervi...
Facio, il piombo e l’argento nel libro di Capogreco raccontati da Pierluigi Ghiggini. “Chi era “Facio”? Chi si ricorda più di Dante Castellucci, braccio destro di Aldo Cervi?”. La prima revisione storica “da sinistra” di una bugia. DilloAdAlice.it n. 144 del 21/03/2007 Chi era “Facio”? Chi si ricorda più di Dante Castellucci, braccio destro di Aldo Cervi, arrestato con i Sette Fratelli ma condannato a morte dal Pci di Reggio Emilia? Chi si ricorda dell'eroico comandante partigiano comunista, calabrese di Sant'Agata D'Esaro, ucciso in Lunigiana a tradimento dai suoi stessi compagni? Eppure Facio aspetta giustizia da 63 anni. Eppure “Facio vive”: nonostante le molte bugie accumulate per seppellirne la memoria, di Dante Castellucci “Facio” si parla più che mai. Oggi la sua vicenda viene ricostruita in modo magistrale dallo storico Spartaco Capogreco in un libro, “Il piombo e l'argento” edito da Donzelli, che ha già mobilitato i grandi giornali con polemiche che attraversano verticalmente la sinistra. Un libro atteso da anni, a giudicare dai testimoni e dai tanti ricercatori indipendenti che tassello dopo tassello - fra Reggio, Parma e la Lunigiana - hanno contribuito a ricostruire la vera storia di Facio. Un'attesa confermata anche dalle duecento persone che hanno affollato la sala del consiglio comunale di Sarzana per la prima presentazione pubblica. C'era Paolino Ranieri, oggi lucido novantenne e nel luglio 1944 ispettore inviato dal Pci a indagare in montagna sulla fucilazione di Facio. C'erano Andrea Ranieri, figlio di Paolino e senatore Ds e Lorenzo Forcieri, sottosegretario dalla Difesa. Forcieri ha detto chiaro e tondo che la vicenda Facio è “una tragedia comunista”. E' la presa d'atto di una verità che qualcuno ancora non vuol riconoscere: questo è un pezzo di storia oscura del Pci che torna a galla, una storia che brucia ancora nelle coscienze, pretende risposte e si scontra col muro di gomma della “vulgata”. Il tempo ha smantellato le bugie, ma i bugiardi e gli esorcisti continuano a fare muro. Dunque: perché “tragedia comunista”, e perché “Il piombo e l'argento?”. E cosa c'entra Reggio Emilia? Dante Castellucci, comandante del battaglione Picelli in Lunigiana, eroe della battaglia del Lago Santo, viene arrestato il 20 luglio 1944 con una trappola: di fronte a un tribunale di guerra illegale allestito dagli altri comandanti delle formazioni comuniste dell'Alta Lunigiana, viene condannato alla fucilazione sulla base di un'accusa falsa e comunque risibile (aver preso una piastra di mortaio destinata ad altra formazione). Il suo accusatore è Antonio Cabrelli “Salvatore”, dirigente del Pci a Parigi negli anni 30. Un personaggio oscuro, controverso: negli anni '80 dall'archivio centrale dello Stato sono riemersi i documenti che provano il suo rientro in Italia nel 1939, con un atto di sottomissione al fascismo. Quindi un doppiogiochista, comunque un uomo da non mandare in montagna a fare il commissario politico. Accanto a Facio c'era la sua fidanzata, Laura Seghettini, che oggi ha 86 anni, portati mirabilmente. "All'improvviso - ricorda - Salvatore si trasformò da pubblico ministero in presidente del tribunale e pronunciò la condanna a morte, ma non in nome dei partigiani: in nome, disse chiaramente, del Partito Comunista Italiano". La sentenza viene eseguita all'alba: Facio, da vero eroe romantico, rinuncia a difendersi, e anzi incoraggia gli uomini del plotone d'esecuzione, perché sparino. La morte di Facio, il tradimento gettano lo scompiglio nelle formazioni partigiane. Tutti sanno, ma i responsabili non pagheranno mai. La verità ufficiale è cerchiobottista e salva le convenienze politiche. Lo è tal punto che nel 1963 lo Stato conferisce Dante Castellucci la medaglia d'argento al valor militare. Ma la motivazione è incredibile, un vero falso in atto pubblico: “Scoperto dal nemico, si difendeva strenuamente; sopraffatto e avendo rifiutato di arrendersi, veniva ucciso sul posto”. In realtà i nemici che lo uccisero furono i suoi stessi compagni: troppo imbarazzante da poterlo ammettere in una decorazione alla memoria. Per ben due volte, prima con il piombo dei proiettili poi con l'argento dell'ipocrisia, Facio è stato ammazzato e offeso. Oggi Spartaco Capogreco ha riaperto il capitolo di quella motivazione bugiarda e, nelle ultime pagine del libro, ne chiede la revisione e l'annullamento. Nei prossimi giorni sarà lanciata una petizione al Presidente della Repubblica. Viene da chiedersi quale ragione profonda è alla radice di sessant'anni di silenzi e menzogne. Forse perché non si deve mettere in discussione la visione manichea della Resistenza e della guerra civile (tutti i buoni da una parte, l'inferno solo dall'altra). Forse perché c'è qualcosa di più. Forse perché c'è di mezzo la guerra ideologica scatenata fuori e dentro il Pci che portò, fra l'altro, alla tragedia dei delitti del dopoguerra. Facio, intellettuale calabrese cresciuto in Francia, aveva 24 anni quando morì. Non fu un partigiano qualsiasi, anche prima di salire in montagna. Dante Castellucci fu l'uomo di punta del gruppo Cervi, legato ad Aldo da una amicizia profonda. Dopo la cattura ai Campi Rossi di Campegine si assunse davanti ai fascisti la responsabilità militare delle operazioni condotte dalla formazione. Una versione probabilmente concordata con Aldo, nel tentativo impossibile di proteggere la famiglia dalla rappresaglia. Fuggito dal carcere di Parma, tentò anche di organizzare (inutilmente) l'evasione dei sette fratelli. Ma non basta essere un eroe per mettersi al riparo dal furore ideologico. Tre settimane dopo il martirio dei Cervi, il comando militare del Pci di Reggio Emilia condanna a morte Dante Castellucci, e incarica Otello Sarzi di eseguire la sentenza. E' noto che intorno ai Cervi il gruppo dirigente del Pci reggiano aveva steso una sorta di “cordone sanitario”. Troppo “movimentisti”. Avevano la visione della Resistenza come guerra di popolo. Quindi inaffidabili. L'ostilità del Pci si spinse sino a voler la testa di Facio, amico di Aldo Cervi e comandante militare del gruppo. Sarzi, il celebre burattinaio, si guarda bene dall'obbedire all'ordine omicidia, e anzi favorisce il passaggio di Facio in provincia di Parma: territorio più sicuro, dove il Pci diffida dei duri cugini reggiani. Infatti il partito lo accoglie e lo manda in montagna al distaccamento Picelli. Da gennaio a luglio: il piombo decretato a Reggio Emilia raggiungerà comunque Facio in montagna. Perché non una, ma due condanne a morte da parte dei compagni? Un destino implacabile, un mix feroce fra stalinismo e doppiogiochismo, o qualcos'altro ancora? Forse si doveva eliminare un testimone scomodo della tragedia dei Cervi, l'uomo che parlava apertamente dell'esistenza di un “traditore con gli stivaloni”? C'è ancora molto da studiare e da cercare. Di certo “Il piombo e l'argento” ha squarciato definitivamente il muro del silenzio intorno a Facio, e ha gettato le basi per la prima revisione storica “da sinistra” di una bugia, di una tragedia comunista. Ancora oggi nel sito internet del Museo Cervi la fine di Facio viene liquidata con queste parole: "Morì in circostanze drammatiche". Punto e basta. Un piccolo capolavoro di ipocrisia, un'altra ferita da sanare. Anche per questo c'è da sperare che il libro di Capogreco sia presentato al più presto a Parma e a Reggio Emilia: per gridare la verità, e per chiudere per sempre con la storia bugiarda.
Pierluigi Ghiggini
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