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 I racconti del venerdì: Carlo Maria detto "Sbarca"

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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
Gaetano Inserito il - 02/02/2007 : 09:58:58
Carlo Maria Sirimarco scrutava quell’angolo di paese a cui si affacciava la sua finestra.

Dall’alto osservava il passaggio dei carri, il frastuono degli zoccoli sul selciato irregolare.

Rifletteva su quella specie d’invocazione, esclamata tra l’ilarità compiaciuta degli amici: “sbarca, sbarchetta mia, sbarcami a porto”, gli era venuto di dire dalla sponda del Forge che costeggiava il suo piccolo appezzamento di terra.

Già, è davvero buffo pensare di poter fare di una “mailla” una barca per raggiungere il mare di una libertà per quei tempi sconfinata.

Eppure, quello era il solo modo che gli restava per immaginarsi in viaggio verso le Americhe, lasciandosi dietro l’ombra ormai opaca delle sue utopie, quelle di un vecchio che a malapena riusciva a scendere la ripida scala di casa.

Così, si trovò soprannominato “Sbarca”, per quella costumanza in uso, specie nei piccoli centri, di individuare e rappresentare una persona attraverso un soprannome, “per qualche singolarità notabile, così in bene, così in male”, in modo da distinguerla da tutte le altre, attribuendole non solo un carattere, una psicologia, una cultura, una posizione socioeconomica, un aspetto fisico specifico, ma anche e soprattutto una vicenda umana particolare.

Non solo, Carlo Maria si ritrovò capostipite di una sorta di “casato” o, come si dice da noi, di una “razza”, quella degli “sbarca”, che i più anziani ancora oggi riescono a collocare nel grande mosaico delle famiglie locali.

In sé la cosa gli importava poco. Viveva quegli anni come rintanato in un guscio, l’orticello, la casa, gli affetti e poco altro.

Eppure quest’uomo, insieme ad una cinquantina di altri volontari santagatesi aveva preso parte ai moti risorgimentali del 1848, arruolandosi nella grande banda di Tommaso Ortale.

Un’esperienza vissuta intensamente e che gli era costata la prigionia nelle dure carceri borboniche.

Catturato e sottoposto a processo con l'imputazione "di associazione in banda armata ad oggetto di distruggere e cambiare governo…", insieme agli altri fu liberato solo in seguito all'amnistia del 2 dicembre 1852.

Questo passato da patriota apparteneva ad un’altra era, quella delle speranze ingenue e primordiali, come quella che bastasse cambiare inni e bandiere per trasformare quel mondo diseguale in un paradiso in terra.

Dopo l’iniziale esaltazione per la riunificazione all’Italia nel 1860, ben presto si accorse che sotto il velo delle mutate apparenze, in realtà, tutto continuava come prima.

Al “Decurionato” borbonico si sostituì il Consiglio Comunale, ma, guarda caso, al posto di Don Francesco Pisani veniva eletto Don Gaetano Pisani; Don Giovanni Traboni veniva sostituito da Don Francesco Traboni; Don Giuseppe Oliverio prendeva il posto lasciato da Don Vincenzo Oliverio...

Questi “nuovi” amministratori “forniti di istruzione e probità”, si scrisse, “sono animati più di altri da sentimenti veri Italiani”.

Sotto il loro sguardo vigile ricominciavano abusi e prepotenze, quale la sistematica, illegittima, usurpazione dei terreni demaniali.

Carlo Maria non rivendicò allora alcunché per i sacrifici fatti, ma la disillusione a cui si trovava esposto lo rendeva ogni giorno più inquieto e malinconico.
Crepe profonde comparivano sulle pareti del suo cuore.

Fino a che apparve concreta la via delle Americhe. Il paese in pieno subbuglio salutava i primi pionieri.
Mesi, anni di attesa. Finalmente giungevano le prime lettere che in pochi erano in grado di leggere.

Carlo Maria, come ridestatosi da un lungo letargo, seguiva attento questi nuovi eventi.
Non vedeva l'ora di sentire racconti di terre lontane.
La sua mente si apriva oltre la corolla delle nostre montagne, immaginava spazi sconfinati, possibilità infinite.

"Amerei di nuovo questa mia terra, se un giorno da lontano ne sentissi ancora l'antico dolore", ripeteva con gli occhi lucidi di una ritrovata suggestione.
"Perché così è, e così sarà, fino alla fine".

Nessuno più prendeva sul serio simili sproloqui. "Sbarca" navigava ormai su rotte tutte sue.

Patriota senza più patria, guardava per ore il fiume perdersi nella valle e sentiva scivolare insieme la sua anima verso il mare.

Ed anche quel giorno, da quella finestra di fronte alla vecchia chiesa, non smise di sognare.

"Sbarca, sbarchetta mia, portami al largo, e non voltarti mai".

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