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V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
Gaetano |
Inserito il - 12/02/2009 : 09:34:16 “La prima fatica che vediamo nella vita è quella delle donne. Cresciamo accompagnati da essa ma raramente la misuriamo. Vi sono donne che hanno una fatica ben più dura: sono le donne che portano i pesi. Si domanderà quale possa essere il riserbo, la grazia, la dignità e la maestà della donna sotto un carico di cinquanta e cento chili sulla testa, un sacco di farina, una balla di carbone, un fascio di legna, e col viso grondante di sudore che le mani occupate a equilibrare il carico non possono asciugare. La bocca è semiaperta al respiro affannoso, il cui ritmo si confonde col soffio delle vesti nel passo. Ho veduto uomini sotto gli stessi pesi come sotto una dannazione; non ho mai veduto in una donna sotto l’inumano fardello un’espressione diversa dalla fedeltà alla fatica. Spesso, come a chiudere in un estremo pudore anche la bocca trafelata, stringono tra i denti la cocca del fazzoletto di cui si coprono la testa. Anche in questo atteggiamento portano una impenetrabilità, un segreto, una intimità e una esclusività; eppure questo lavoro, uno dei più antichi del mondo, mette in risalto come nessun altro la struttura del corpo, i fianchi, la schiena, le braccia, il passo del piede scalzo che indovina come se avesse gli occhi gl’inciampi, i ciottoli, le spine. Il macigno di cui sono costruiti molti paesi dell’Italia meridionale è stato portato sulla testa delle donne”.
Corrado Alvaro, Il nostro tempo e la speranza
“Le donne che portano i pesi” è uno dei saggi sulla vita contemporanea che compongono il libro “Il nostro tempo e la speranza”.
Si tratta di una stupenda pagina di storia “minore” (di cui si riporta un breve stralcio) quasi mai raccontata, quella degli enormi sacrifici fatti dalla maggior parte delle donne del sud fin da tempi immemorabili.
Alvaro sembra quasi inchinarsi al loro passaggio, esaltandone la straordinaria dignità.
Da parte nostra, vogliamo ricordare, almeno per un attimo, com’era "l’irtu" delle “croci” che ci appare oggi così disastrato e le tante santagatesi di ogni età che spesso in solitudine lo risalivano stracariche dalla campagna.
Nello stesso tempo, pensiamo anche alle tante giovani neo-laureate in vari campi che recentemente a SADE si sono distinte per preparazione, professionalità ed eloquio.
L’importante è che non si perda il filo del cammino che ha permesso una tale profonda emancipazione.
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4 U L T I M E R I S P O S T E (in alto le più recenti) |
marilena |
Inserito il - 18/02/2009 : 13:24:15 "...ho compreso che nell'infanzia la neve è più soffice,
più verdi in gioventù le colline,
ho compreso che nella vita ci sono tante vite,
per quante volte abbiamo nella vita amato.."
Tratto da: "Il Vento del Domani" di Evgenij Evtusenko
Come Sandro anch'io ogni mattina quando mi sveglio il mio primo pensiero è per Sant'Agata e per le persone a me care che sono li.
I concetti di unicità e diversità a cui mi riferivo non vogliono affatto negare o contrapporsi alla condivisione delle esperienze comuni ed all'impronta culturale che ti dà il crescere a Sant'Agata od al bagaglio di meravigliosi ricordi che ti lascia,
ma a quel insieme di sentimenti contrastanti che il lasciare Sant'Agata mi ha prodotto, e credo abbia prodotto in tutti, ed alla direzione di vita che questi sentimenti ci hanno fatto prendere, rendendo così unico e diverso il nostro viaggio.
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Buccia |
Inserito il - 15/02/2009 : 12:11:44 "Non avrei mai pensato che ci sarebbe toccato vivere al tramonto di un mondo. Proprio ti chiedo scusa. Certo, è ridicolo che io ti chieda scusa del tempo, del secolo, dell'epoca, del mondo come va. Ma ognuno è responsabile del suo tempo".(Corrado Alvaro)
Io ho avuto più luoghi da abbandonare, in più momenti della mia vita. E non sono nata e cresciuta in quello stesso orizzonte fisico e culturale che Sant'Agata ha invece costituito per tutti voi, seppur in anni e contesti differenti (giacchè la realtà è la somma delle percezioni e delle interpretazioni personali).
Paradossalmente, è forse proprio per questo che trovo positivo il fatto che ciascuno di voi sia portatore di una "santagatesità" assoluta ed ideale. Ideale, ma potenzialmente più solida e concreta di quella fisica e "reale".
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Gaetano |
Inserito il - 13/02/2009 : 19:16:39 Caro Sandro, nel risponderTi vorrei tralasciare qualsiasi riferimento allo stato attuale del nostro paese, ma concentrarmi sui sentimenti contrapposti che questo angolo di mondo (in cui abbiamo avuto la fortuna di nascere e da cui siamo partiti) ci ispira e che Tu hai ben riassunto in poche condivisibili espressioni.
Questa condivisione di sentimenti contraddice in parte quanto sostenuto da Marilena nel precedente post, secondo cui ognuno di noi vive la sua “juta” da Sant’Agata in modo unico e diverso da altri.
Tuttavia, pur ammettendo tale unicità e diversità, qualcosa ci accomuna al di là delle nostre singole esperienze e questo qualcosa ha a che fare con il luogo in cui abbiamo vissuto la nostra infanzia ed adolescenza.
A tal proposito, uno scrittore ebreo (Elie Wiesel, L’ebreo errante) scrisse che “A volte mi dico che in fondo non ho mai abbandonato il luogo in cui sono nato, dove ho imparato a camminare e ed amare”.
In questo modo si costruisce in noi, anno dopo anno di assenza, una Sant’Agata “ideale”, un luogo “della memoria e dell’utopia” attraverso il quale, come avviene nell’opera di Corrado Alvaro, misuriamo “gli uomini, le cose, i fatti e i luoghi in cui entriamo in contatto” e che fatalmente stride con la sua realtà effettiva.
Un abbraccio a tutta la Tua famiglia
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sandro |
Inserito il - 13/02/2009 : 11:22:49 Caro Gaetano, il problema è che sia le donne che gli uomini figli dell'Esaro che si sono distinti lo hanno fatto, nella maggior parte dei casi, lontani dalla loro amata/odiata terra. Anche io, come Te, pur non vivendo stabilmente a Sade dall'età di 14 anni, non smetterò mai di sentirmi un figlio dell'Esaro. Quando chiedono a me e a mia moglie " da dove venite", io puntulalizzo sempre"Lei è di Siena, io di un paesino in provincia di Cosenza". Ma anche io, pur sentendo fortissime le mie radici e rivendicando la mia santagatesità, non mi sento nè carne nè pesce, a Siena sono integrato più di un senese, ma ogni mattina quando mi sveglio penso al paesello che amo più di ogni altro al mondo. Tuttavia anche io non faccio nulla perchè le cose migliorino. Tutti i miei amici dicono mara mia e sanno di chi parlo quando pronuncio il nome di qualsiasi mio compaesano; ma il problema è che torno a Sade sempre più di rado e sento che la mia empatia con il territorio non è più come una volta. Sento che la Sade di oggi non è più la mia, e mi diverto a ricordare i personaggi e le storie ormai leggendarie per me ormai adulto. Il gioco del pirillo, le partite a Santa Nicola (che sembravano mondiali), i miti dell'infanzia Coppariellu, Emilianu o Manuele, la semplicità dei rapporti avantu u carciri e l'economia sicuramente più fiorente di oggi... ricordi quante botteghe alimentari, c'erano tanti negozi di abbigliamento e persino un negozio di abiti da sposa. Il buffone di corte ha scritto che anche la crisi di noi s'è scodata, no non è così... la crisi da noi è ormai cristallizzata, è divenuta un modo di essere. Ma fino a quando non cesserà questa emorragia emigrazionale non ci sarà un cambio di rotta.
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