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V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
Buccia |
Inserito il - 30/01/2013 : 13:40:41 Spigolature da “Guida Alla Calabria Misteriosa – Tesori, riti, credenze, sortilegi” (Guido Palange * – Rubettino Editore)
Dalla A di Acquappesa alla Z di Zungri: un viaggio nella memoria più o meno recente.
Alla M di Mendicino (CS) viene trattato un argomento comune a tante località calabresi:
U sìricu vo’ chiantu.
“Un prodotto tanto raffinato come la seta – portato in Calabria da arabi e bizantini prima dell’anno mille – ha consentito una catena produttiva (dall’allevamento familiare del baco, ai mercati specifici, alle filande, alle tessiture) davvero nodale per l’economia regionale.
Difatti, la Calabria fu a lungo la maggior produttrice di seta greggia, e, in fatto di seta lavorata, toccò punte di assoluta eccellenza con i velluti e i damaschi catanzaresi, i cui maestri poi insegnarono l’arte addirittura ai colleghi di Tours e di Lione. Arte che, fra l’altro, nel 1.500 fu alla base, sempre in Catanzaro, di un’esperienza di autonomia e democrazia comunali così avanzate da risultare inveramento di un’utopia.
Ma, se pur diffuso su tutto il territorio regionale, ed esercitato un po’ in tutte le famiglie, l’allevamento del baco da seta si distingueva , per qualità e quantità in alcuni luoghi, fra cui Medicino. Qui i bachi venivano nutriti con foglie di gelso vitaminizzate da tutta una trama rituale.
Ad esempio, il Sabato Santo le donne non dovevano mangiare fichi secchi a evitare che i bozzoli non diventassero flosci e mosci come fichi. E durante la messa, quando l’officiante citava il Vangelo di Marco esse dovevano recitare in coro e ad alta voce “Ccu’ lu Vangelu sicunnu Marcu ù sìricu s’ammàttula” (Col Vangelo secondo Marco il baco da seta diventa abbondante). Mentre nel caso del Vangelo di Luca recitavano segnandosi rapidamente “Ccu’lu Vangelu sicunnu Luca ù sìricu s’affuca” (Col Vangelo secondo Luca il baco da seta s’affoga). Le foglie di gelso erano inoltre concimate da lacrime metaforiche.
Difatti era nota la regola secondo cui “ù sìricu vo’ chiantu”, ovvero, il baco, per prosperare necessita di lamentele, nel senso che col lamentarsi di come mal procedeva l’allevamento, gli si creava attorno una barriera difensiva contro l’invidia, la jettarura e le calamità in genere.”
* Alla razionalizzazione della memoria collettiva calabrese Guido Palange ha dedicato spettacoli teatrali, programmi radiofonici e televisivi, pubblicazioni. Fra queste: Storia del teatro dialettale calabrese – La regina dai tre seni – L’asino che vola – Jugale, il bacio al lebbroso e la stretta di mano al cretino. Ha, inoltre, coordinato i lavori per Il Dizionario bibliografico, biografico, geografico, storico della Calabria.
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