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V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
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Inserito il - 13/04/2007 : 17:50:35 CATANZARO - agenzia delle ore 16:56
(ANSA) - CATANZARO, 13 APR - "La Regione Calabria appoggerà la richiesta per l' assegnazione della medaglia d' oro al valore per il comandante partigiano, Dante Castellucci, detto 'Facio', perché si possa così ristabilire la verità storica, su un eroe della nostra terra, facendo piena luce su una delle zone grigie che hanno caratterizzato la Resistenza italiana". E' quanto afferma il presidente della Regione Agazio Loiero commentando la richiesta avanzata da intellettuali e storici durante la presentazione del libro "Il piombo e l' argento" di Carlo Spartaco Capogreco, avvenuta a Roma alla 'Casa della memoria e della storia'. "L' opera ricostruisce per la prima volta - è scritto in un comunicato dell' Ufficio stampa della Giunta regionale - la vicenda del comandante partigiano 'Facio' che da Sant' Agata d' Esaro, in Calabria, partì per combattere i nazifascisti, prima in contatto con i fratelli Cervi a Reggio-Emilia e, poi, sui monti della Lunigiana, dove divenne un eroe popolare, sia per le intrepide azioni militari, che per la grande umanità dimostrata con i compagni della formazione partigiana 'Picelli' e con gli abitanti del luogo". "Una popolarità - è scritto ancora nella nota - dovuta anche al suo modo di essere un comunista atipico e libertario, che gli procurò gelosie e critiche da parte delle formazioni partigiane liguri di più stretta osservanza moscovita. Un contrasto che venne risolto con un finto processo, con una sentenza firmata dal commissario politico comunista a lui avverso e l' ingiusta condanna a morte. Ma le gesta e la figura di Dante Castellucci sono ancora ricordate con amore in Lunigiana, anche se finora le fonti ufficiali della Resistenza hanno cercato di nascondere la verità storica. Alla memoria del comandante 'Facio' è stata conferita perfino una medaglia d' argento con una falsa motivazione, quella di essere stato ucciso in battaglia dai nazifascisti, anziché da un gruppo di partigiani rivali". "Adesso è l'ora che si ponga fine alle due verità - ha detto Loiero - e si recuperi la memoria di un uomo che si è sacrificato per i suoi ideali e per la libertà degli italiani. Per noi calabresi l' appassionante storia di Dante Castellucci che, come nome di battaglia, volle quello di un brigante antiborbonico, è anche un simbolo dell' entusiasmo dei giovani e di un percorso politico-sociale di tanti nostri concittadini. La medaglia d' oro sarebbe un grande atto riparatore da parte dello Stato, perché non dobbiamo perdere la memoria di personaggi così puri ed altruisti". (ANSA).
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2 U L T I M E R I S P O S T E (in alto le più recenti) |
domenico tolve |
Inserito il - 14/04/2007 : 20:10:00 Ho trovato tra la consistente documentazione fornitami dal compagno Francesco Martorelli (Celentano) la fotocopia di questo discorso, non firmato, che risale, probabilmente alla cerimonia di scopertura della lapide in ricordo di Dante Castellucci. Ho ritenuto opportuno renderla disponibile per i tanti spunti di riflessione che vi sono contenuti. Domenico Tolve
40 anni fa, in quel drammatico 22 Luglio di un’estate affocata, si compì il sacrificio di Facio, in un giorno che è divenuto anche un grande, duraturo insegnamento. Allora, sul far dell’alba, crepitarono le armi contro il più generoso e indifeso comandante partigiano che, fino all’ultimo istante, rincuorò e sollecitò i FRATELLI di fronte, riluttanti e angosciati, a far presto, a non aver timore nel consumare il dramma. E così, audace come sempre, senza macchia e senza paura, cadde da vincitore, Castellucci Dante il comandante FACIO del btg. Picelli. La notizia lugubre si diffuse fra i partigiani attoniti, increduli e sgomenti, e tra la popolazione che lo accolse, lo aiutò, lo protesse e lo pianse, infine, come uno dei suoi figli migliori. E ora, anche con il trascorrere di tanto tempo i ricordi, nutriti dalla ragione, divengono più nitidi e si affollano alla mente per una tumultuosa cavalcata nella storia di quei mesi così meravigliosi e irripetibili. La fama di FACIO si estende per la Lunigiana perché egli è l’imbattuto capobanda nei combattimenti alla Corsara, a Pontremoli, a Borgotaro, al Lago Santo, e contro i presidi repubblichini lungo la rotabile della Cisa con il suo felice intuito di guerrigliero nato. E’ l’ideatore e l’esecutore di azioni da manuale della guerriglia, instancabile nell’approntare gli strumenti della lotta, con una disposizione d’animo, una contagiosa aggressività, un sano ottimismo che disarma i profeti di sventura, i pessimisti di turno, che rincuora i tiepidi. E fu allora, nella stagione della nostra giovinezza, che assaporammo la gioia dell’ospitalità frugale dei contadini quando fummo braccati, e dinanzi ai fuochi accesi delle cucine annerite, ci parve ritrovare il calore delle nostre famiglie e la veglia protettrice dei nostri affetti più cari. Cari amici partigiani, ripenso a quegli avvenimenti come a una esperienza meravigliosa durante la quale gustammo, per merito particolare di Facio, il sapore di una comunione di sentimenti, mentre si spezzava in parti uguali il povero cibo, confortati da reciproca stima e fiducia. E allora, soltanto allora, la prima veritiera organizzazione comunitaria, la embrionale società dei nostri sogni di ventenni, di una comunità civile di uomini liberi ed eguali parve sul punto di prendere forma e sostanza. Così, amici partigiani, in mezzo al travagliuo di vicissitudini traumatiche, rimase intatto il grande cuore del PICELLI che si unì alla MATTEOTTI nella identità di due eroi della lotta antifascista e della Resistenza. Di una brigata dalle vicende singolari, dalle caratteristiche non comuni, che non si piegò mai perché l’esempio di FACIO aveva infuso la passione della lotta e non quella della diserzione. L’amore per la Brigata fu più forte dello scoramento, e il malessere di quei giorni non cedette alla disperazione. Caddero, è vero, compagni che mi ascoltate, i tempi delle certezze assolute, dogmatiche, di comandi senza vizi e senza peccati, per subentrare lentamente il dubbio benefico e inquietante, il senso critico che stimola, incalza, incuriosisce la mente a ricercare, almeno, frammenti di verità. Gli esempi di Facio e, di Alberto, primo eroe del Picelli, suscitarono nuove energie per proseguire nella Lunigiana dei Campolonghi, dei Manfredi, dei Ferrari, dei Carloni, l’opera dei grandi animatori della battaglia per la libertà e il riscatto. Giorno del sacrificio, abbiamo detto, ma anche giorno di insegnamento per farci riflettere, con un grado di maturazione sempre fecondo, che il potere non sostenuto dal consenso, degenera in arbitrio, arroganza e prepotenza per assumere i connotati della violenza e del nepotismo dai quali derivano solo terrore, umiliazione e servilismo. Allora chi si arrogò il diritto di decidere le sorti di Facio manifestò disprezzo per la ragione e per i sentimenti umani. Allora, compagni partigiani, esasperate ambizioni non nobilitate da idealità, resero aridi e cinici sino a compiere il misfatto. Forse era scritto che dovevamo subire quell’affronto per cominciare a squarciare i veli dell’ipocrisia e dell’ignoranza, per imparare che nessuno è depositario della verità, che la democrazia non è figlia di una ideologia o sposa di una politica, ma il portato di lunghe esperienze alla base delle quali sono l’uguaglianza degli uomini ed il loro diritto innato alla ricerca della felicità. Che essa vuole uomini liberi e pensanti poiché l’ignoranza racchiude, invece, le menti nel buio della notte, di una notte senza luna e senza stelle. Questo non vollero o non poterono capire quanti decretarono una sentenza che fu un grave errore politico e un giudizio profondamente errato che, se hanno portato alla morte di un uomo, non ne hanno impedito di fissare l’immagine nel quadro degli eroi della Resistenza. Questo abbiamo scritto nel libro della Brigata, questo solennemente affermiamo qui, al cospetto della natura, muta spettatrice di quel tragico epilogo che ha, oramai, il suggello del tempo. Lo diciamo, non per riaprire ferite, ma perché sia lenito il dolore dei familiari e delle persone tanto affettuosamente legate a Facio, perché il paese di Militello custodisca e onori la memoria di un valoroso patriota garibaldino che ha percorso il breve tragitto della sua ardente vita con una devozione senza fine, con una fierezza indomita che sono e rimarranno gloria e vanto della Resistenza e dei sui figli. Sono passate alcune generazioni da quell’alba, tinta di rosso, del 25 Aprile 1945, sono mutate le condizioni della società, in rapida trasformazione economica, più varia e complessa socialmente e culturalmente. Ma le motivazioni ideali della Resistenza sono una espressione duratura che non cambiano con il variare delle stagioni. Da Alberto a Facio, dai compagni che hanno dato con abnegazione la loro giovinezza piena di promesse abbiamo ereditato un grande patrimonio. Amici partigiani, cittadini, dobbiamo sforzarci di trasmetterlo ai nostri giovani. Ad essi dobbiamo provare nei fatti che le idee per le quali ci siamo battuti sono cose vive, cose di oggi, e per le quali siamo disposti a nuovi impegni capaci di correggere errori e vizi, accrescendo la fiducia del popolo nelle istituzioni democratiche nate dalla lotta di Resistenza. Solo così operando, rinnovando le tensioni ideali, praticando il rigore morale di quel tempo potremo affermare che l’albero della democrazia è cresciuto e crescerà sempre più vigoroso per alimentare la passione per la libertà, per la giustizia e per la pace. Allora non saranno stati vani i sacrifici dei nostri caduti e della gente di montagna. E gli itinerari della Resistenza, in questo anfiteatro luminoso di luci e di colori, costellati dalle stazioni del dolore e della gloria, testimonieranno il significato di una lotta di quanti vollero diventare uomini per il bisogno insopprimibile di LIBERTA’.
Adelano di Zeri 22/07/1984 Saluto di un italiano
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Inserito il - 14/04/2007 : 19:17:34 Articolo pubblicato oggi, a pagina 19, de La Provincia cosentina La proposta di assegnare un riconoscimento a Dante Castellucci sarà appoggiata anche dal governatore Loiero Una medaglia per il partigiano calabrese
S. AGATA D’ESARO
Chi era “Facio”? Chi si ricorda più di Dante Castellucci, braccio destro di Aldo Cervi, arrestato con i suoi sette fratelli ma condannato a morte dal Pci di Reggio Emilia? Chi si ricorda dell'eroico comandante partigiano comunista, calabrese di Sant'Agata d'Esaro, ucciso in Lunigiana a tradimento dai suoi stessi compagni? Facio aspetta ancora giustizia. Da 63 anni. E “vive”: nonostante le molte bugie accumulate per seppellirne la memoria. Di Dante Castellucci “Facio” si parla più che mai. La sua vicenda è stata di recente ricostruita, in modo magistrale, dallo storico Spartaco Capogreco in un libro, “Il piombo e l'argento” edito da Donzelli. Ed ora anche la Regione Calabria “appoggerà la richiesta per l'assegnazione della medaglia d'oro al valore per il comandante partigiano, Dante Castellucci, detto “Facio”, perché si possa così ristabilire la verità storica, su un eroe della nostra terra, facendo piena luce su una delle zone grigie che hanno caratterizzato la Resistenza italiana”. Lo ha affermato il presidente della Regione Agazio Loiero, commentando la richiesta avanzata da intellettuali e storici proprio durante la presentazione del libro di Capogreco, avvenuta a Roma alla Casa della memoria e della storia. "L'opera ricostruisce per la prima volta – si legge in una nota dell'Ufficio stampa regionale – la vicenda del comandante partigiano Facio che da Sant'Agata d'Esaro partì per combattere i nazifascisti, prima in contatto con i fratelli Cervi a Reggio Emilia e, poi, sui monti della Lunigiana, dove divenne un eroe popolare, sia per le intrepide azioni militari, che per la grande umanità dimostrata con i compagni della formazione partigiana Picelli e con gli abitanti del luogo". E di Facio si ricorda “la sua popolarità dovuta anche al suo modo di essere un comunista atipico e libertario, che gli procurò gelosie e critiche da parte delle formazioni partigiane liguri di più stretta osservanza moscovita. Un contrasto che venne risolto con un finto processo, con una sentenza firmata dal commissario politico comunista a lui avverso e l'ingiusta condanna a morte”. "Adesso è l'ora che si ponga fine alle due verità - ha concluso Loiero – e si recuperi la memoria di un uomo che si è sacrificato per i suoi ideali e per la libertà degli italiani. E la medaglia d'oro sarebbe un grande atto riparatore da parte dello Stato, perché non dobbiamo perdere la memoria di personaggi così puri ed altruisti". A Sant’Agata d’Esaro (dove gli è dedicata l’aula consiliare) è una cosa che si aspettano.
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