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V I S U A L I Z Z A D I S C U S S I O N E |
Gaetano |
Inserito il - 15/10/2015 : 16:16:07 Il braccio di mare che divideva, nel punto più stretto dell’Ellesponto, le città di Abido e di Sesto era di sette stadi, corrispondenti a circa milletrecento metri.
E ogni notte Leandro lo attraversava a nuoto per approdare ai piedi della torre altissima e solitaria dalla cui sommità l’amata Ero lo aveva guidato con la lampada sui flutti tenebrosi.
Consacrata vergine al culto di Afrodite, la fanciulla non aveva resistito all’invito appassionato del giovane ad amarsi nella clandestinità.
E nel buio complice l’aveva deterso, poi unto con l’olio e, prima che l’alba illuminasse il mare, restituito alle onde <<insaziato, fragrante ancora dell’amore notturno>>.
Quando i venti invernali cominciarono a sconvolgere la superficie delle acque, Leandro non esitò ad affrontare le tempeste, finché una notte fu scagliato esanime contro gli scogli, alla base della torre.
Qui Ero si gettò a capofitto, per morire assieme allo sposo: <<E godettero l’uno dell’altra anche nell’estrema sorte>>.
Giuseppe Pontiggia, I contemporanei del futuro, Mondadori, 1998
Nella sua carrellata di “classici” antichi e moderni l’indimenticato “Bepo” Pontiggia osserva che il poemetto epico di Museo (Ero e Leandro), scritto probabilmente nel V secolo d.C. “evoca con semplicità raffinata una storia eterna. Il presagio della fine rende emozionante l’inizio, la fatalità diventa scelta, il desiderio appagato l’ardore di annientamento, la trasgressione una offerta sacrificale alla incomprensibilità dell’ordine”.
Oggi, non meno pericolosamente, quel tratto di mare è attraversato da gruppi di siriani e di libici che premono sulla Bulgaria e sulla Macedonia per entrare in Europa.
https://it.wikipedia.org/wiki/Ero_e_Leandro
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